Castel del Giudice, come rinasce il piccolo borgo


 

Castel del Giudice, ecco come rinasce un piccolo borgo senza abitanti

Rischiava di sparire per mancanza di residenti. L’amministrazione e i cittadini trasformano l’ex scuola in una Rsa che dà lavoro a cento persone, fanno partire anche un meleto bio e cinquanta stalle diventano un hotel diffuso.

di Goffredo Buccini

Quest’autunno nasceranno tre bambini: due da mamme italiane, uno da mamma ghanese. A Castel del Giudice ogni fiocco rosa o azzurro è festa vera, perché ogni vagito scaccia il silenzio. E quassù, sulle montagne molisane, il silenzio può diventare oblio, svuotare borghi e persone, uccidere. «L’Appennino è stato devastato dal terremoto, certo. Ma si può morire anche di… terremoto silenzioso, sa? Noi stavamo morendo così, ma abbiamo scelto di vivere», dice Lino Gentile, fisico da boscaiolo, studio da commercialista a Sulmona, sindaco di questo pugno di case e anime sin dal 1999 (con un mandato di intervallo), premio Vassallo 2014. Da ragazzino portava le bombole del gas dal negozio di suo padre, vecchio socialista lombardiano, alle cucine dei compaesani. Sicché tutti se lo sentivano un po’ figlio quando, 17 anni fa, da pochi mesi in municipio, ha convocato la prima assemblea cittadina per chiedere loro di scuotersi dal torpore, trasformando il palazzotto sul corso, che un tempo ospitava la scuola (abbandonata per scarsità di alunni), in una Rsa, una residenza sanitaria per anziani e disabili. Stesso sistema orizzontale e democratico per creare poi gli altri prodigi di Castel del Giudice: il meleto bio e l’albergo diffuso.

La public company

Lino è un riformista fattivo, guida una lista civica «ispirata al centrosinistra». Ha visto il paese svuotarsi, scendere dai 1.500 abitanti degli anni Sessanta ai 340 scarsi di adesso. Detesta «l’attesa salvifica»: «Questo aspettare che qualcuno ti tiri fuori dai guai… Basta. Abbiamo pensato di trasformare le debolezze in punti di forza. Ho detto: facciamo una public company, chi ci sta?». Alcuni hanno storto il naso, in venticinque gli hanno detto sì, pubblico e privato a braccetto. Il sì più importante gli è arrivato da un emigrato molisano, Ermanno D’Andrea, partito bambinetto nel dopoguerra da Capracotta, 600 metri più su di qui, e tornato in zona a impiantare una succursale dell’azienda meccanica creata dal padre Marino, grazie alla quale aveva fatto fortuna nel Milanese: un ritorno con la condizione, strabiliante, di poter investire gli utili in progetti di sviluppo del territorio. Così Lino dice di Ermanno che è un imprenditore «olivettiano», nel senso di Adriano Olivetti e della funzione sociale del capitale.

Ermanno in effetti è un self made man schivo che ha aperto 13 scuole in Africa. Ha litigato con il parroco di Capracotta, accusandolo di sperperare i quattrini dell’8 per mille per rifarsi una canonica super, e racconta di essere stato quindi «scomunicato dal vescovo». C’è lui dietro la Rsa San Nicola che, nel frattempo, diventa leader nel Molise e crea 25 posti di lavoro. I primi. Perché in questi anni i nuovi impieghi saranno un centinaio. Settantacinque cittadini più il solito Ermanno e il Comune fanno nascere la «Melise», 40 ettari di meleto bio benedetto anche dai supervisori tedeschi di una famosa azienda di succhi. Il sindaco fa un cenno verso un giovanotto che sbuca dal meleto su un trattore rosso: «Lo vede quello? Beh, viene da Torino: meglio essere occupato a Castel del Giudice che disoccupato a Torino, no? I nuovi abitanti si cercano col lavoro». Con questa idea in testa, 50 vecchi proprietari di stalle abbandonate danno il via all’avventura di Borgo Tufi: le stalle, ricostruite da Enrico Ricci, finanziate da Ermanno e collegate alle infrastrutture del Comune (che partecipa agli utili per il 20 per cento), diventano uno splendido hotel diffuso, con spa, ristorante gourmet, affaccio sulla valle del Sangro.

Artemisia

L’ultimo progetto è Artemisia, la cooperativa di comunità che darà lavoro a 5 ragazzi del paese e a un gruppo di migranti: a Castel del Giudice funziona bene anche il sistema Sprar, l’accoglienza diffusa per chi arriva da noi in cerca di aiuto. Vengono da Nigeria e Ghana i nuovi paesani. Studiano l’italiano e innaffiano le piante della piazza, per ora. Joseph sarà presto di nuovo papà. Intanto si coccola l’ultima nata, Mariam, un anno e mezzo, e sorride a chi l’avverte che non tutti, in Italia, lo vedrebbero di buon occhio: «Sì? Ma, scusa, anche in Africa non è che tutti mi amano. E poi qui è diverso». Già, qui c’è Lino il sindaco, persuaso che «i piccoli comuni o diventano laboratorio di buon governo oppure non hanno ragione di esistere». Invece esiste ancora Castel del Giudice: esiste, eccome. Così certe notti, saliteci, quassù. Con le luci accese dell’hotel diffuso, il profumo di mele, le voci dei bambini… Non lo direste mai che un tempo ci si potesse morire di terremoto silenzioso.