Il Molise timido e orgoglioso


 

Il Molise è una regione intima, una terra senza riposo – come la definì Francesco Jovine – affetta da una specie di tormento geologico, rugosa e dolce al tempo stesso.

Una regione di paesi che si sente spaesata, che ha bisogno di ritrovarsi, di cambiare per tornare protagonista del proprio destino. I paesi sono spesso di pietra, incastonati nella roccia, anche nel nome: Pietrabbondante, Pietracupa, Pietracatella, Campodipietra, Petrella, Castelpetroso…

Paesi che sembrano rocce e rocce che sembrano paesi. I paesi sono la traccia più evidente dell’uomo, con sullo sfondo il peso della natura, la forza che stringe e che crea il Molise, che lo caratterizza con le sue persistenze, a partire dai massicci montuosi del Matese, delle Mainarde e dell’Alto Sannio, dalle colline interne e dai fiumi Trigno, Biferno e Fortore, fino al breve tratto di costa che rende il Molise anche una regione adriatica.

I paesi con i loro campanili disegnano le campagne, rendendole meno sole.

All’imbrunire d’inverno, quando sale la caligine e si accendono le prime luci, sembra tutto un presepe. Andare da un paese all’altro significa riprodurre antichi cammini, seguire gli spostamenti lenti delle greggi sui tratturi, di quando il Molise era terra di mezzo, collegamento tra le Montagne dell’Abruzzo e il Tavoliere di Puglia. Per questo lungo i tratturi nacquero taverne, chiese e botteghe artigiane.

Conoscere il Molise è quasi sempre un viaggio nel gusto, un pellegrinaggio laico e religioso nel paesaggio particolare di un’Italia pulita e senza voce alla quale sarebbe bene ridare la parola.

Qui l’incontro tra uomo e natura è cominciato presto, e si è fermato prima di rompere l’equilibrio e di produrre gli sfaceli che si vedono in altre regioni.

Così il paesaggio è rimasto in gran parte lo specchio fedele dei caratteri naturali e del lavoro umano, con le campagne ondulate e dipinte dalle stagioni e dai contadini, i campi irregolari e coltivati, punteggiati qua e là da querce solitarie che producevano ghiande e riparo per gli animali al pascolo o per il pastore errante.

Terre a lungo feudali, terre del sacramento (Jovine), dove forte è rimasto il peso dei vincoli familiari, anche quando – nell’ultimo secolo – questa terra è stata duramente colpita dall’emigrazione.

 

Alla metà del ‘900 il veneto Guido Piovene, descriveva il carattere molisano come “timido e orgoglioso”: il Molise gli appariva romantico e stregato e gli ricordava “alcune zone dell’Europa del Nord, per esempio la Scozia e l’Irlanda… Deserta la campagna, ma gremite di gente le borgate, secondo il costume locale, che porta ad assembrarsi nei centri come in territorio ostile”.

 

 

 

Ritorna il riferimento ai paesi. Gli faceva eco il poeta molisano Eugenio Cirese che in quegli stessi anni lanciava un invito ancora oggi attualissimo, quasi un elogio ante litteram del “Molise non esiste”: “Il fatto che il Molise sia ancora da scoprire – scriveva – è una condizione felice: il nostro patrimonio è ancora intatto, non si è logorato per l’uso, non è diventato una cartolina illustrata…”

 

 La ricchezza del Molise sta ancora oggi proprio in questo: nell’essere una voce dissonante, un timbro non abituale in un mondo in cui tutto appare logoro e sfruttato.

Sono solo due spunti, che consentono di cogliere l’essenza del paesaggio materiale e simbolico: paesaggio agrario, forestale, pastorale. Verso l’estate primeggia il giallo del grano, ma nei dintorni di Venafro e sui colli di Larino si estende il grigio argentato degli olivi e qualche vigna di Tintilia impreziosisce i campi delle alture.

Luoghi ricchi di risorse naturali e di cibi: dalle erbe aromatiche del Matese alla pezzata di Capracotta, dalle ricette croate e albanesi del basso Molise al brodetto di pesce di Termoli, fino alla straordinaria varietà di salumi, carni e formaggi tra i quali spiccano la ventricina di Montenero di Bisaccia, la pampanella di San Martino in Pensilis, il caciocavallo di Agnone, la treccia di Santa Croce di Magliano, o le mozzarelle di Venafro che già si affaccia in Campania.

Agnone è anche il paese delle campane, come Frosolone è il paese dei lavori d’acciaio. Oratino è il paese degli artisti. Scapoli è il paese della zampogna.

 

 

A Civitacampomarano ha preso campo la street art. Andrebbero citati tutti, ma non c’è spazio.

 

Street Art – Civitacampomarano (CB) ph Alice Pasquini

La ‘ndocciata di Agnone

 

Essi sono una componente essenziale del patrimonio culturale regionale, insieme ai siti archeologici di Pietrabbondante, di Sepino, di Larino e di San Vincenzo al Volturno, insieme ai numerosi centri storici e al ricchissimo ventaglio di riti e feste popolari che raggiungono l’apice con la processione dei Misteri a Campobasso, con la ‘ndocciata di Agnone, con le carresi del Basso Molise, con la festa del grano di Jelsi.

 

Questa piccola regione possiede insomma un ricco patrimonio territoriale

Gran parte di esso insiste su aree interne, rurali e montane, cioè in zone che sono state vittime di una deriva: trascurate, dimenticate, ferite e qualche volta perfino derise.

Oggi sono necessarie strategie che rimettano al centro il territorio per farlo uscire dall’abbandono e dalla marginalizzazione.

Qualcosa si muove, specialmente laddove piccoli comuni hanno preso l’iniziativa, dal basso, per forme partecipate di sviluppo endogeno, basato su quello che c’è, non sulla vana ricerca di quello che non c’è. Anche noi all’Università del Molise stiamo studiando e supportando questi tentativi, in particolare con l’attività del Centro di Ricerca per le Aree Interne e gli Appennini (ArIA), impegnato a dare supporto culturale e scientifico alla rinascita dei territori ingiustamente marginalizzati dal processo di sviluppo novecentesco.

Il ritorno al territorio non è un salto all’indietro, ma un laboratorio di futuro, dove sperimentare nuove economie e un turismo diverso: non il turismo di massa (quello che si misura con l’entità dei flussi degli arrivi e delle presenze), ma quello dell’esperienza o della saggezza, che guarda alla qualità e alla sostenibilità.

Il Molise esiste, eccome. C’è, con le sue montagne e con i suoi paesi, con i suoi paesaggi reali e immaginari, ricchi di bellezza utile, con la tenacia dei pochi che sono rimasti, l’intraprendenza di chi cerca di tornare e l’affetto dei molti che se ne sono andati.

Rossano Pazzagli

Università del Molise, Direttore di ArIA – Centro di Ricerca per le Aree Interne e gli Appennini

[Da «La Fonte», marzo 2018-  Foto: Maria Vasco © founder Moliseinvita]